La parola apnea deriva dal greco apnoia (“senza respiro”): l’atleta svolge la sua attività trattenendo il respiro e mantenendo il corpo sotto la superficie dell’acqua. Molto probabilmente l’immersione in apnea si sviluppò tra le popolazioni situate sulle coste dei mari e dei laghi, spinte dalla necessità di trarre risorse alimentari dalle acque circostanti. Risalgono infatti tra i 7.000 e 10.000 anni fa i resti di fossili di conchiglie rinvenuti presso alcune abitazioni del Mar Baltico e che fanno presupporre pratiche d’immersione fin da allora. È certo che anche nel Mediterraneo si pescavano dei molluschi gasteropodi per estrarne porpora e poi farne un lauto commercio.
La vera Subacquea nacque per scopi militari o per necessità di lavoro. Già tra gli antichi egizi esisteva un commercio delle spugne greche, per non parlare delle Ama giapponesi: pescatrici di perle. Con una storia documentata antichissima (se ne fa menzione già nel 268 a.C. nelle cronache Giapponesi Gishi-Wajin-Den), ancora oggi in Giappone esiste un consistente numero di persone che ricavano il necessario per vivere dalla raccolta di ostriche, conchiglie e alghe destinate all’industria delle perle e dell’alimentazione. Si tratta di uomini e donne, ma mentre gli uomini si dedicavano principalmente alla pesca sottomarina e la loro categoria è quasi estinta, il popolo delle pescatrici donne è ancora molto numeroso e fa parte integrante della cultura e delle tradizioni del Giappone e della Corea.
Leonardo da Vinci per primo disegnò dei prototipi di attrezzature subacquee: un paio di pinne ed uno snorkel; nel suo “Codice Atlantico” descrisse inoltre la prima campana subacquea che poteva essere utilizzata per respirare artificialmente sott’acqua (non vennero però forniti molti particolari, in quanto questo sistema venne descritto come “innaturale per l’uomo”). Intorno al XVI secolo Franz Kessler in Germania e Guglielmo di Lorena in Italia riuscirono a scendere sotto la superficie dell’acqua in un cilindro aperto nella parte inferiore. Fu, però, l’inglese Halley che all’inizio del XVII secolo realizzò una campana subacquea che poteva essere rifornita dalla superficie mediante botti piene d’aria. Qualche anno più tardi fu possibile ricevere l’aria direttamente da pompe eroganti. Negli anni Cinquanta il dottor Cabarrou, fisiologo francese, affermava categoricamente che oltre i 50 m di profondità l’uomo non sarebbe potuto andare: “Après, il s’écrase!”, sentenziò (“Dopo si schianta!”). Ci volle quasi un decennio prima che un coraggioso uomo,Raimondo Bucher, si avvicinasse a quella fatidica soglia andando, nel 1949, a meno 30 m di profondità. Nell’agosto del 1961 il mitico Enzo Maiorca decise di ignorare le teorie, andando a varcare il fatale muro dei meno 50 m. Da allora a oggi, i costanti record di apnea dimostrano che gli adattamenti fisiologici dell’essere umano permettono discese ben più impegnative di quelle teorizzate oltre cinquant’anni fa.
Alcune delle informazioni che si trovano in questo articolo sono state estratte dal libro “Lo sport, le origini e i regolamenti” di Daniele Masala (ed. Caramanica 2016) | Questo portale non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001.